Piove. Forse piove un po’ meno. No, piove fortissimo. Sto alla finestra. Cerchiamo il momento propizio, l’attimo in cui la pioggia magicamente smetta di venire giù a secchiate, anche solo un attimo giusto per farci partire.

Ma dopo un’ora il momento magico non è ancora arrivato e allora ci prepariamo: pantaloni della pioggia, copri scarpe, giacca con cappuccio da tirare sul casco, sotto un cielo nero che lascia poche speranze, nero verso qualsiasi latitudine e longitudine si riesca a scrutare.

In fondo non possiamo nemmeno lamentarci perché abbiamo avuto quasi un mese di tempo perfetto e nessun inconveniente e quindi due giorni interi di pioggia e due forature in poche ore ci stanno.

Dopo le meraviglie vegane mangiate a Berlino, è stato difficile riabituarsi al cibo; di nuovo tanta carne, menù interi in cui non c’era un solo piatto non dico vegano ma nemmeno vegetariano, per fortuna ogni tanto la sera troviamo delle zuppe che per loro sono piccole entrée e che noi chiediamo in versione große anziché kleine.

Da Berlino in poi non c’è più il concorso del giardino più bello del mondo e addirittura incrociamo allibite aree verdi incolte con cartacce e su un balcone dei fiori di plastica, che incredibile affronto! Mi aspetto che il proprietario sia agli arresti domiciliari in attesa di giudizio.

Finisce la gara dei giardini e ricominciano le foreste, intere ore in mezzo al silenzio, e poi entriamo nella regione dei laghi, per la felicità di Silvia che freme dalla voglia di tuffarsi in qualsiasi pozza, coi suoi cottage, castelli che si affacciano imponenti sulle acque e sali e scendi che movimentano le nostre pedalate. In attesa di scrivere l’elogio della curva mi appunto che pure il saliscendi è meritevole di massimo rispetto ciclistico.

Sbarchiamo in Danimarca con uno stuolo di ciclisti che ci fanno un sacco di allegria, ci fanno sentire meno sole e meno pazze, visto che qui quasi nessuno ha bici assistite, e quando diciamo che arriviamo dall’Italia in bici nessuno strabuzza gli occhi, nessuno ci chiede: solo voi due? Un sacco di persone anche anziane si trascinano dietro bagagli enormi e tenda. Beh certo perché qui è tutto piatto ci diciamo.

Spoiler: no nemmeno la Danimarca è piatta.

Insomma partiamo alla scoperta di questa nuova nazione con uno strano avvertimento sui danesi, eh sapete loro hanno questa sorta di regole morali non scritte, la Janteloven, la legge di Jante, ci dice Sara, una ragazza siciliana che viene in bici ad incontrarci ad Aarhus e che vive poco distante col fidanzato danese.

Prova a spiegarci cosa sia questa Janteloven ma non riesco a capirci molto.

Ma quindi è positivo che non si sentano superiori a nessuno e nessuno è superiore a loro?

Eh insomma questo li rende molto insicuri, molto chiusi

Ah quindi è negativo perché soffoca le singole individualità?

Forse, però sono molto leali e corretti.

Decido che approfondirò il tema più avanti quando ci sarà meno vento, perché sì, da subito la Danimarca ci accoglie sferzandoci vigorosamente, mentre gli occhi si riempiono di distese di grano e recinti di cavalli, cieli mutevoli e colori tenui che più si va a Nord più si desaturano, prendono tinte da crepuscolo anche in pieno giorno. Davanti alle case fiori colorati di campo e mercatini, oggetti lasciati incustoditi che puoi prendere, c’è un telefono da chiamare se ti interessa qualcosa per accordarsi sul prezzo. Ecco la famosa correttezza e fiducia nel prossimo.

E poi dopo giorni di sole tenue, milioni di cavalli, tetti di paglia, serre coi pomodorini, il mare del Nord con le sue spiagge di dune, arriva la tanto temuta pioggia. Che di per sé non sarebbe sta tragedia se non fosse che foriamo nel nulla cosmico di una stradina di campagna e il copertone nuovo non ne vuole sapere di rientrare sul cerchione. Dopo mezz’ora di tentativi passa un furgone e ci sbracciamo.

Il nostro salvatore si chiama Lars, come il noto regista, ma per fortuna questo è un vichingo di buon umore e non un regista depresso, e con due mani che sembrano badili ci sistema il copertone. Non senza una certa fatica pure lui. It’s very hard. Eh se non era hard ce la facevamo pure noi.

Magari adesso, smanacciandolo così, il copertone è diventato un po’ meno rigido.

No, scopriremo dopo un’ora, il copertone è restato duro nello stesso modo, perché Silvia buca di nuovo, la ruota davanti a sto giro, e di nuovo sotto la pioggia tiriamo giù tutti i santi possibili.

Di nuovo un furgone in lontananza, di nuovo ci sbracciamo. Il furgone sembra andarsene, poi dopo cinque minuti ritorna. Un altro uomo gentile che dice: so cosa fare, e dopo un po’ di tentativi ci sistema pure lui il copertone.

Basterebbe questo per eleggere i danesi a popolo più gentile dell’universo ma per convincerci definitivamente la sera arriviamo sotto una pioggia scrosciante in un posto incredibile. Un castello con una dependance a un costo super abbordabile.

La cucina è chiusa oggi, ci dice la proprietaria.

Ma nemmeno una zuppa?

Si impietosisce.

Fatevi una doccia e tornate tra un’ora.

Mangiamo verdure miste cucinate con quintalate di burro, una verza cotta al forno deliziosa, una focaccia ancora calda. Un bicchiere di vino rosso.

Non ci restano più dubbi. Al diavolo la legge di Jan, viva il popolo danese.

Ed eccoci qui la mattina dopo, alla finestra. Si parte verso Oslo, stasera prenderemo il traghetto notturno. Per ora si prende un sacco di pioggia ma sulla bilancia di questo viaggio il piatto della fortuna pesa cento chili e questa pioggia solo pochi grammi.