Il tassista dice che dovrà cambiare auto entro novembre. Tutti i taxi in Norvegia da novembre dovranno essere elettrici.

Ci indica il traffico nella direzione opposta: vedete? l’ottanta per cento sono elettriche.

Ottanta per cento? chiedo sorpresa.

Pare di sì. Questo forse è il primo aspetto di ‘modernità’ di questo Nord. Ma è comunque un traffico intenso, paragonabile alla tangenziale di Milano la mattina. Nonostante i mezzi pubblici siano capillari e molto ben organizzati, anche qui la gente vuole andare in macchina.

Tutti amano guidare dice il tassista scuotendo la testa.

Anche i norvegesi stanno in coda la mattina con le loro auto esattamente come un milanese esattamente come tutto il mondo.

Non sappiamo quasi niente della Norvegia, siamo restate ad Oslo solo tre giorni abbiamo provato a chiedere informazioni super partes a due ragazze italiane che abbiamo incontrato che vivono qui. La legge di Jante, di nuovo.

Sono chiusi, ognuno nella propria bolla difficile da penetrare, orgogliosi, isolati nel loro mondo, molto quadrati, tutto preciso in modo esagerato, nessuna sbavatura.

Qui quando comincia l’inverno si fanno sport invernale e si canta nei cori.

Beh dai almeno potete cantare in qualche coro.

Eh non è così facile sono molto selettivi.

Grande delusione il cibo. Ci aspettavamo più alternative vegane, invece per mangiare qualcosa di non carnivoro dobbiamo andare in un ristorante thai, dove pago il corrispettivo di 2 euro e 50 per aver chiesto del coriandolo sul pad thai, o nei ristoranti indiani. È il quarto indiano dall’inizio del viaggio. E poi i ristoranti etnici sono gli unici aperti dopo le 18. Ci spiegano che qui si pranza molto tardi e poi magari si mangia qualcosa prima di dormire. Tutto costosissimo e fare i conti con l’euro non è così immediato.

Mona e Ellinor, del Kvinnemuseet, ci accolgono nell’ultimo Museo delle donne che visitiamo a Kongsvinger, a un’ora e mezza di treno da Oslo. Il museo è un piccolo gioiello in un paese fatto di antiche case in legno; in questa casa ha vissuto Dagny Juel, musicista e scrittrice vissuta agli inizi del Novecento, il museo è composto da un’esposizione permanente, con la storia delle battaglie femministe norvegesi, e una mostra temporanea sull’aborto che è tornato un tema caldo anche qui, per via di una legge in discussione in Parlamento.
Ellinor ci racconta che spesso le persone vengono per vedere la casa e poi scoprono il Museo e che non è facile nemmeno qui far capire il senso di un Museo delle Donne. Spesso gli uomini entrano e ironicamente chiedono: ah un museo delle donne e come mai non c’è un museo degli uomini?
Ellinor scuote la testa, come a dire: è dura anche qui, è dura far capire che un mondo più equo migliorerebbe anche la vita degli uomini.

Il tassista che deve cambiare taxi entro Novembre, ci lascia in aeroporto, si torna a casa con le nostre bici smontate negli scatoloni, la parte più faticosa del viaggio sarà trascinarceli fino a casa.

La domanda è quella della fine di ogni viaggio: cosa ci portiamo a casa? Cosa succede di diverso andando verso Nord? Come si esce dalla bolla? Come si crea curiosità in chi non è già interessato ai temi femministi? Ai temi sulla parità di genere?

A Oslo sgranano gli occhi incredule se diciamo che in Italia è ancora strano che una donna viaggi da sola ma capiamo che, sebbene in tema di diritti la Norvegia sia seconda solo all’Islanda, anche qui ci sia ancora tanto da fare.

Come ci ha detto Ellinor nel museo. Sapete qual è la ricerca più fatta in Google nella giornata per la donna, l’8 marzo? Quand’è la giornata dell’uomo?

Bilancio del viaggio in bici? Ci chiediamo mentre l’aereo è appena arrivato in quota.
Proviamo a fare un elenco, comincia Silvia: non ci siamo mai sentite in pericolo, sempre ciclabili o strade piccole con un traffico inesistente. Solo qualche tratto in Germania che ci ha fatto rivivere la sensazione di ansia dell’Italia che ci eravamo quasi dimenticate, quando senti il rombo del motore che arriva da dietro e ti chiedi: mi avrà visto?
Era tanto che non facevamo un viaggio in bicicletta di un mese intero con borse così pesanti. C’è voluta quasi una settimana per ingranare bene ma poi siamo andate alla grande. Io al sessantesimo chilometro in genere cominciavo a sentire che non sapevo più come tenere il collo ma poi passava.
Vorrei scrivere, oltre all’elogio della curva e del saliscendi, che ci hanno scritto si chiama mangia e bevi, siamo per caso mica a caso, comunque vorrei anche prima o poi scrivere l’elogio degli alberi. Che sono sempre magnifici nella loro imponenza e varietà ma quando vai in bici e hai la fortuna di pedalare a lungo in un bosco o in una strada di campagna costeggiata dagli alberi, lì è una benedizione. Il profumo, la sensazione di sentirsi protette, il fresco rigenerante che ti fa passare tutta la fatica. Ho fatto decine di foto per ricordarmi alcuni di questi straordinari compagni di viaggio. La quercia centenaria che si piega con una curva perfetta sulla strada, il viale di platani, i tigli: Linde in tedesco. E poi gli abeti rossi, già sramati e pronti per essere tagliati che vanno con la loro punta a cercare il sole e svettano rossi di tramonto.
E ovviamente la bicicletta ti dà la sensazione viva di stare dentro al viaggio, di farlo tu il viaggio con le tue gambe, la tua energia che varia, i picchi di forza e la stanchezza, la fatica e il sollievo, le immagini che si confondono col flusso di pensieri: che bel giardino/che male al collo/ bella quella nuvola a forma di delfino/93 bpm/ecco tra venti metri la salita finisce/stasera vorrei mangiare una bella zuppa. Immersi.

Ora, mentre stiamo per atterrare a MIlano, prima di archiviare questa avventura, ripenso all’ultimo giorno di bici, mentre stiamo andando a Frederikshavn per imbarcarci la notte sul traghetto per Oslo.

Il vento della Danimarca che si trasforma in tempesta, il cielo che diventa sempre più minaccioso. Un maestrale a raffiche che ci arriva di lato e ci sposta pericolosamente fuori strada e cambia continuamente direzione. E in quella paura, con gli alberi che ululano e il cielo che si chiude nero sopra alla nostra testa, pedalare gli ultimi dieci chilometri col vento dietro che ci spinge a quaranta all’ora e noi come bambine urliamo per l’eccitazione e ci sembra letteralmente di volare.

Siamo nella furia degli elementi, siamo in pericolo, siamo libere, siamo vive.